La città violentata

Ti svegli la mattina e vedi l’acqua che continua a scendere, sono ormai tre giorni che piove.
Il vento è caldo, nonostante sia ormai novembre, e la neve caduta abbondante sulle montagne si sta sciogliendo.

A pranzo continua a piovere. Inizi a sentire le sirene dei Vigili del fuoco, partono dalla vicina caserma, per liberare sottopassi dall’acqua, per mettere in sicurezza strade, per iniziare a sfollare le persone.

Nel pomeriggio ti affacci alla finestra per fumare una sigaretta. Dove prima c’erano la strada di casa, le aiuole con le panchine, le macchine, ora c’è una distesa di acqua marrone che ha sommerso tutto, unici ormeggi visibili sono rimasti i cartelli stradali.

E allora inizi a pensare alla tua città, a quello che potrebbe succederle, a quello che sta già succedendo a te e a molti altri toui concittadini, ai quali non hai magari mai parlato, ai quali l’altro ieri hai suonato il campanello imbestialito perché avevano parcheggiato la macchina nel tuo posto riservato.
Ma adesso pensi a loro e a tutti quelli che stanno perdendo dei ricordi, la casa, la macchina.

Ma non è la perdita di cose materiali che ti fa scendere una lacrima, è la sensazione che il nido nel quale sei sempre cresciuto in realtà sia fragile.
Ed è fragile perché, nonostante tu non te ne sia mai accorto, è costruito su una rete di fiumi e canali. Sei ponti e due fiumi devi passare per arrivare in centro città, ma non ci avevi mai fatto caso prima di adesso.

Con l’aiuto di tutti, vecchi e giovani, italiani e stranieri, bianchi e neri si ripulisce dal fango la città, si sistemano le strade, si svuotano le cantine, si ricostruiscono le case.
Si guardano le foto della tragedia sperando che ormai sia lontana, e si riconoscono i luoghi della vita immersi nel fango, il centro cittadino diventato una palude nella quale si sono abbandonate le biciclette per far posto ai gommoni, persone sempre viste e mai conosciute che temono per loro.
La città è stata ormai ripulita dal fango.

Il fango che ha sporcato la sicurezza di tutti, quello non si toglie.
Ora, a distanza di mesi, ogni volta che piove intensamente, accendi la televisione per captare se sta succedendo di nuovo, guardi il sito del comune per comprendere se c’è l’allerta esondazione. E anche senza trovare queste informazioni, scendi in garage a prendere la pala e telefoni agli amici per capire se dovrai vedere ancora una volta la tua città violentata dall’acqua.

Nebbia

Lelio non sapeva che strada scegliere, non si ricordava più come fosse la cartina che aveva guardato la mattina, prima di partire.

C’era o non c’era questo bivio? Se avessi guardato più attentamente quella cartina, ora lo saprei!

Il bivio che Lelio si trovava di fronte non aveva alcuna indicazione e, perdi più, la nebbia copriva tutto. Bianca e fredda uniformava il paesaggio, quasi fosse una profondità marina. Ormai era pomeriggio inoltrato, stava iniziando a diventare buio: le cose che il nostro pellegrino riusciva a distingere, in quel niente, diminuivano.

Questa nebbia mi sta bagnando il soprabito, e pizzica pure il naso, e copre tutto, ed è fredda. Non si vede molto, ma se provassi a strizzare gli occhi? Se strizzassi gli occhi… uguale a prima. Pazienza, vano tentativo, vorrà dire che sceglierò la strada in base al poco che riesco a vedere.
Allora. A sinistra ci sono degli alberi, ora sono un po’ spogli, ma in primavera devono essere il rifugio perfetto dalla calura, con le loro foglie vive che si muovono al vento, proiettando un’ombra salvifica a terra. Il sentiero sembra battuto meglio, farò meno fatica, e magari troverò anche un buon fattore pronto ad accogliermi per una notte.
A destra ci sono solo dei cespugli, o forse sono dei rovi, non riesco a capire bene. Certo è che non promettono molto di buono, se non delle rare more selvatiche, in un periodo imprecisato dell’anno, che certo non è questo. Come farei a camminare in mezzo a tutte quelle spine?
Meglio andare a sinistra, la strada sarà di sicuro migliore.

Lelio si incamminò, sicuro della sua scelta, lungo la via di sinistra.
Camminò e camminò, ma la strada iniziò a farsi difficile: stretta, invasa dalle sterpaglie, che resero impreciso l’incedere di un passo ormai stanco.
Lelio continuò, sicuro della scelta.

Se questa via, che era la migliore fra le due, è così, figuriamoci l’altra. Tieni duro Lelio, tra poco arriverai e, se non arriverai, potrai almeno chiedere ospitalità, di certo ci sarà una contrada fra non molto.

Camminò ancora, nella nebbia sempre più fitta. Ora Lelio vedeva il movimento pesante dei propri piedi muovere in moti circolari l’aria bianca e densa. La luce fioca illuminava un breve cono di farina avanti a sé.

Camminò e camminò fino a notte inoltrata. Il suo stomaco brontolava, vuoto da troppo tempo. I suoi piedi bollivano, in viaggio da troppe ore. Le ciglia umide, protezione degli occhi ormai assonnati. Non poteva fermarsi, non aveva nulla per ripararsi, in una notte d’inverno, dalla nebbia e dal freddo. Continuò a camminare.

Chissà mai se arriverò da qualche parte. Qui mi sembra di camminare senza andare avanti, sempre i soliti scarponi, sempre le solite erbacce, sempre il solito sentiero sotto i piedi, sempre la solita lucina e sempre il solito bianco, più bianco e ancora bianco.

Appena pensò questo sentì il latrare di un cane. Era salvo, un cane poteva decidere di uscire con quel tempo solo se vicino avesse avuto una calda cuccia ad aspettarlo.
Lelio affrettò il passo, arrivò presto in una contrada. Doveva essere ormai tardi perché le luci erano spente, solo un lumicino si intravvedeva dalla finestrella della casetta accanto alla stalla.

Proverò a bussare, forse lì c’è qualcuno sveglio.

“Salve, mi scusi, credo di essermi perso e non ho con me nulla. Come? Oh, la ringrazio, sarebbe splendido.”

Lelio era appena stato accolto da un vecchio ingobbito e grinzoso, i cui occhi però brillavano scuri come bottoni, segno evidente di una vecchiaia solo corporea.
Un piatto di minestra, un bicchiere di vino rosso e molte chiacchiere.

Prima di andare a letto il vecchio chiese a Lelio: “Come mai hai scelto la strada più difficile per salire?”

“Strada più difficile? Ero certo che fosse la più semplice: quegli alberi sicuri, anche se spogli, e la larghezza del sentiero. Pareva molto più tranquilla dell’altra, piena di rovi che invadevano la via.”

“Ricorda che la nebbia nasconde la vertià delle cose.”