Eccolo eccolo, è arrivato!!!
La curiosità iniziò a spargersi in tutta la grande casa colonica e, come in un formicaio, nonni genitori figli, domestici e fattori, si mossero in un’unica direzione con passi brevi ma veloci.
Brillante in giardino, ancorato a due solide colonne di mattoni rossi, sbarrava la via a chi avesse voluto introdursi nel viale senza permesso.
Era un cancello di ferro battuto di dimensioni abbastanza imponenti, era grande ma non incuteva timore.
Era stato creato da un artigiano ormai in là con gli anni che, con la sua esperienza, riusciva a intrecciare una materia così fredda quasi fosse vimini. Purtroppo però il vigore necessario a plasmare il materiale lo stava abbandonando.
Uno dei figli del fattore corse verso il nuovo cancello, allungò la mano, lo aprì. A bocca aperta per l’emozione di quel primo gesto, gli altri spettatori osservavano in silenzio. L’espressione di tutti cambiò in fretta: i sorrisi mutarono in smorfie, i bambini si portarono le mani alle orecchie, i cani scapparono dentro le cucce, e le galline nel pollaio svolazzarono scomporstamente calpestandosi fra loro.
Non un normale cigolio, ma un fischio acuto e sgraziato aveva rotto il silenzio.
I più pensarono bastasse dell’olio sui cardini e quindi questa soluzione fu provata molte e molte volte. Niente.
Si smontò il cancello per riportarlo dall’artigiano a far controllare. Niente.
Si abbatterono le colonne portanti e si ricostruirono di pietra. Niente.
In via eccezionale venne chiamata addirittura la vecchia strega del paese per un incantesimo. Niente.
Trascorsero anni, vennero compiuti molti tentativi, ma niente sembrava calmare il fischio. Ad ogni apertura e ad ogni chiusura del cancello chi era nei paraggi si tappava le orecchie, sperando di non udire quel rumore orribile.
Cambiò il fattore, cambiarono i domestici e i contadini. Ma il cancello non cambiò, semplicemente era stato lasciato aperto, privato dell’unica funzione per la quale era venuto al mondo. Ricoperto di edera ed erbacce era quasi invisibile.
Un pomeriggio d’inverno passò un ferrovecchio che, intravedendo fra gli stralci la forma antica di quel cancello, decise di fare la sua proposta al fattore. Lo comprò per pochi soldi, lo smontò e lo caricò sul suo carro.
Il ferrovecchio si muoveva in continuazione da una città all’altra e non si fermava dove iniziava a sentir parlare un’altra lingua, percorreva migliaia di chilometri seduto sul suo carretto ricoperto di cianfrusaglie e vecchi arnesi. Arrivò addirittura dove gli uomini hanno gli occhi stretti e lunghi. E proprio lì decise che era ora di sbarazzarsi di quel cancello così ingombrante.
Un vecchietto molto ricco comprò quel cancello dalla foggia esotica, lo fece montare alle porte della sua dimora fastosa. Durante le sue abituali passeggiate in giardino, oltre a contemplare la bellezza della natura, contemplava quel magnifico cancello; ma sapeva bene che la natura, così perfetta e autonoma, non poteva essere eguagliata da un pezzo, per quanto bello, di ferro. E si meravigliava quindi di vedere che tutti, oltre a lui, erano talmente profani, da prostrarsi a terra col capo fra le mani ogni qual volta vedevano il cancello in movimento.
Da quando aveva perso l’udito, infatti, il vecchietto non capiva più molte cose.